A Udine, presso le Suore Francescane di Via Ronchi, si incontrò con la contessa Osio, la quale lo presentò al Generale Porro, Sottocapo di Stato Maggiore, dopo averlo preceduto con entusiastiche informazioni sull’attività da lui svolta per i soldati. «La prego di estendere la sua azione a tutta la fronte» – fu la conclusione del colloquio.
Il 12 dicembre 1916, l’Intendente Generale dell’Esercito, con lettera n. 39009, comunicava la costituzione dell’Ufficio speciale Case del Soldato in zona di Guerra affidandone la direzione al Cappellano Don Giovanni Minozzi per incarico del Comando Supremo.
L’arboscello diventava quercia. Le Sale diventavano Case.
Egli fu distaccato dalle Unità Ospedaliere del Sovrano. Ordine di Malta e trasferito al nuovo servizio.
Il programma gli era nato da una idea semplice e lucida: il soldato va alla guerra per dovere, chiamato da ordini che non è abituato a discutere. Falsi gli entusiasmi parolai, stupida la predicazione del odio. Invece, dal profondo dell’anima, dopo l’impeto della battaglia, gli salgono i sentimenti di buona umanità, l’aspirazione alla pace, alla tranquillità, alla giustizia. I soldati vogliono l’esempio del dovere compiuto con disciplina e sentito come sacro; cercano riposo, serenità, conforto, svago, un qualche lasso di tempo per riconciliarsi con la vita; apprezzano l’interessamento per loro, l’assistenza affettuosa, l’ascolto dei loro sfoghi.
Perciò egli concepì la Casa del Saldato come un’oasi, come un luogo di riposo, come una sosta al riparo, dove si potesse respirare quell’aria di casa, fatta di amorevolezza, di fraterna sollecitudine e anche di moralità austera, per meglio disporsi al compimento del dovere. Il soldato vi doveva trovare ciò che contribuiva a rasserenarlo: libri per la lettura sana e amena, giochi vari per il divertimento, oggetti di cancelleria per la corrispondenza. Di tanto in tanto venivano invitati conferenzieri di prim’ordine e di sicura fede.
A ogni Casa veniva preposto un Direttore scelto tra i soldati della Sanità, soprattutto sacerdoti, e della Territoriale. Le forniture venivano. Prelevate dalla Direzione Generale a Treviso, dove ammassava materiale l’insonne iniziativa del Cappellano e dove intendeva alla distribuzione l’impareggiabile Andrea Massimi, un soldatino della sua Preta.
Si pensi a un reggimento che torni, tutto acqua e fango, dalle trincee, o scenda agghiacciato. dalle montagne impervie dopo giorni di abbrutimento e di tensione. Che ristoro entrare in una Casa calda e accogliente, lavarsi, conversare con gli amici, sfogarsi per tante contrarietà e manifestare crucci e ansie, confidarsi, riposarsi, divertirsi, dimenticare per un’ora gl’istinti beluini scatenati, risentirsi uomo tra gli uomini. « Farà loro più bene un’ora di divertimento che cento pagnotte di pane in più» gli diceva un ufficiale.
La Casa del Soldato con l’atmosfera casalinga di moralità favoriva la serenità dello spirito e il riposo del corpo. I soldati si rifacevano felici e giocherelloni come fanciulli. Vi si respirava il senso del dovere.
In genere era composta da una sala di scrittura, da una sala di lettura con biblioteca, da un ufficio per le informazioni, da un segretariato per gli analfabeti, dalla cappella. Nei centri dove risultò possibile il Cappellano mise su anche la scuola per analfabeti, la rivendita dei generi alimentari e dei francobolli, i bagni, il teatrino, l’impianto di giochi all’aperto.
Però lo schema ideale e completo per !’impianto di una Casa del Soldato comprendeva diversi locali razionalmente distribuiti. Al centro era disposta una grande Sala di soggiorno, attrezzata con tavoli per scacchi, dama, carte, tombola, sedia per grammofono, sedioline per fisarmonica e strumenti musicali; e c’erano anche angoli di quiete per conversazioni più riposate e per la sana cordialità paesana. Non vi mancava, addossato alla parete di fondo, il palcoscenico per le recite e la proiezione dei films.
Dal salone centrale si apriva, in genere, l’ingresso agli altri ambienti, principalmente alla Cappella, che si giovava anche dello spazio del salone nei giorni di maggiore frequenza.
C’erano poi: la Sala di scrittura, fornita di tutto divertimento che cento pagnotte di pane in più» gli diceva un ufficiale.
La Casa del Soldato con l’atmosfera casalinga di moralità favoriva la serenità dello spirito e il riposo del corpo. I soldati si rifacevano felici e giocherelloni come fanciulli. Vi si respirava il senso del dovere.
In genere era composta da una sala di scrittura, da una sala di lettura con biblioteca, da un ufficio per le informazioni, da un segretariato per gli analfabeti, dalla cappella. Nei centri dove risultò possibile il Cappellano mise su anche la scuola per analfabeti, la rivendita dei generi alimentari e dei francobolli, i bagni, il teatrino, l’impianto di giochi all’aperto.
Però lo schema ideale e completo per !’impianto di una Casa del Soldato comprendeva diversi locali razionalmente distribuiti. Al centro era disposta una grande Sala di soggiorno, attrezzata con tavoli per scacchi, dama, carte, tombola, sedia per grammofono, sedioline per fisarmonica e strumenti musicali; e c’erano anche angoli di quiete per conversazioni più riposate e per la sana cordialità paesana. Non vi mancava, addossato alla parete di fondo, il palcoscenico per le recite e la proiezione dei films.
Dal salone centrale si apriva, in genere, l’ingresso agli altri ambienti, principalmente alla Cappella, che si giovava anche dello spazio del salone nei giorni di maggiore frequenza.
C’erano poi: la Sala di scrittura, fornita di tutto l’occorrente per la corrispondenza, con cartoline e foglietti abbelliti con la intestazione e con motti patriottici; la Biblioteca; l’Ufficio informazioni, che egli chiamava scherzosamente «il consolatorio»: i soldati vi ricevevano spiegazioni e consigli nelle difficoltà che li angustiavano.
In ambientino a parte era situato il Segretariato, e vi entravano gli analfabeti, a uno a uno, per dettare le lettere ai familiari.
Riservata a questi ultimi era la Scuola per analfabeti, dotata di lavagna, quaderni, penne, sillabari, quadri murali e… sigari, sigarette, come premi degli scolari più diligenti. Le lezioni vi erano impartite in genere dai preti-soldati.
Non mancava il Posto di Ristoro con la rivendita di francobolli e di generi alimentari e diversi. « Godevo assai – scrive Don Minozzi – quando, capitando d’improvviso, scorgevo frotterelle di giovinotti passeggiarsela lietamente sgranando pagnottelle imbottite, o vedendovi anzianotti «Terribili» sedere a giocarsi mezzo litro – una foglietta, dicevano i romani – a briscola o scaracoccia e ritornar paesani, rifarsi, rinascere in un’onda luminosa di convivenza paesana ».
Le Case del Soldato aperte e funzionanti all’ottobre 1917 erano salite al numero di 242. Dopo la ritirata di Caporetto esse divennero 257.
Le Case più importanti, come quelle di Osteria di Granezza, Romans, Ala, Sagrado, Farra ed altre, avevano anche il teatro.
La maggior parte della Case, essendo costruite in legno e realizzate per lo scopo, risultavano di buona funzionalità; altre erano adattate in locali provvisori e dotate solamente dei servizi indispensabili; altre ancora ebbero sede in edifici di fortuna e resero anch’esse ottimo servizio.
Veniva maturando, provvidenzialmente, nella triste esperienza della guerra, la idea ampia, la visione ariosa dei futuri istituti incarnanti la sua concezione pedagogica in edifici spalancati alla luce e all’aria, con gli spazi liberi e il verde e il decoro e l’essenzialità delle linee architettoniche, dove le anime giovanili avrebbero trovato le dimensioni adatte per il sereno loro sviluppo, senza neppure l’accenno a costrizione. Quel benefico mal della pietra gli cominciava ad accendere l’anima per le ardimentose e vaste realizzazioni future.
“ Ora ci hanno aperto la Casa del Soldato scriveva un soldatino dal fronte -. Trovo da leggere, da scrivere e passare un’ ora buona. Ogni sera c’è teatro. Insomma sto bene … A momenti ci hanno innamorato anche della vita di guerra”.