6 novembre
Ieri sera [a Roma] bella serata dal barone Lumbroso, con Fausto Salvatori, Giocondo Fino ecc… S’intende che vado in giro pei soldati. Rimediai bene.
7 novembre
Ieri ebbi una lunga cordiale udienza dalla Regina madre. Com’è intelligente e colta e come s’occupa de’ soldati, di tutto! Ricordo che su Crispi s’espresse così: “ultimo grande uomo che abbiamo avuto…!”. Santa donna! Anche l’on. Rosadi, sottosegretario all’istruzione, s’interessa vivamente delle mie bibliotechine.
10 novembre
Vado rimediando benino per i soldati. Ma bisogna girar molto e bussare a tutte le porte. A Roma va diffondendosi un certo scetticismo per la nostra guerra. Sono rare le persone intelligenti che privatamente non muovano accuse al governo, non piangano sulle sventure nazionali. é uno stato d’animo pericoloso, che bisognerebbe evitare. Senza retorica bolsa si, ma con fiducia sempre. Certo l’orizzonte è scuro e fa tremare: ma bisogna premere forte il cuore e stare sereni al posto di combattimento oramai. Un altro guaio è questo: i soldati malati negli ospedali mostrano chiaramente spesso la volontà di non battersi più. Io temo dipenda dalle troppe carezze che si fanno loro: li guastano addirittura. E forse anche da qualche subdola propaganda. Bisognerebbe sorvegliare assai e predicare loro la necessità austera del sacrifizio.
15 novembre
Bisogna che me ne vada. A Roma si perde ogni speranza. Oggi uno già vedeva i tedeschi in Lombardia. Certo l’orizzonte è scurissimo, ma la speranza non deve mancarci. mi diceva che Giolitti fu ingannato volgarmente da Salandra. Questi gli aveva assicurato di non muovere in guerra, ma solo prepararsi per appoggiare l’azione diplomatica. Fu così che Giolitti non venne a Roma per lungo tempo. Egli temeva possibili camarille intorno a se, che avrebbero tolto la completa libertà che credeva necessaria al governo. E venne solo quando vide precipitare le cose, per trovarsi vicino e osservar meglio. Non fu lui a chieder udienza al Re, ma fu questi a chiamarlo. Tale il racconto di Giolitti a Venzi. «Ora – seguitava poco addietro Giolitti – se fossi interrogato, io non potrei che ripetere quello che dissi: Avrei desiderato ingannarmi ma purtroppo i fatti mi danno ragione». Di fronte ai pessimisti, giolittiani o no, v’è la fiducia che parmi un po’ superficiale di altri. Ier l’altro era il prof. Fedele a vantare la nostra azione militare; oggi Rossi a esaltare l’opera del governo. Difficile orientarsi: Mi pare si esageri d’ambedue le parti. Innegabile che una condotta più accorta ci avrebbe giovato immensamente, dal lato militare come da quello diplomatico. Ma comunque sia, oggi non si può e non si deve discutere.La patria corre su la via dell’abisso o della gloria. Chi crede alla prima ha il sacro dovere di lavorare ancora di più, di sacrificarsi interamente alla patria.
16 novembre
Seguita insistente il tempo cattivo, il peggior nemico. La semina va male. Come andrà lo sbarco albanese? E si fa davvero? Parlavo ier l’altro col Card. Cassetta. Che freschezza d’amor patrio in lui! Giusto quel che osservava però: più fede cristiana ci vorrebbe in questo amore.
18 novembre
Scurissimo è l’orizzonte: somiglia al tempo pessimo che infuria notte e giorno. In Tripolitania si va male, malissimo. M’han detto oggi che si è a pochi chilometri da Tripoli. E pensare che eravamo così lieti dell’avanzata compiuta con tanti sacrifizi! Chi sa, forse anche Bumeliana è caduta! Né qui la guerra accenna a progressi veri, importanti. é una guerra di trincea anche da noi. Lo spirito disgraziatamente va giù. Chi non ha cuore se la diverte come prima e più; chi ama la patria spasima. Non so io come osi la gente andare ancora pei teatri, affollare i passeggi pubblici, i cinematografi ecc. Oh, che la coscienza sia tanto rara?… La Grecia segue la sua politica realistica. E ha ragione. La Serbia muore nel sangue. Noi difendiamo a mezzo le idealità. Non siamo più romani. M’assicurano che Tettoni scongiurò il governo a non entrare in guerra senza almeno i Rumeni. Aveva ragione. Io l’ho pensata sempre così. Non mi sono illuso mai. Ho sempre detto che da soli non risolvevamo nulla e che i Balcani erano i Balcani. Ma… Che farci? Certo la strapotenza tedesca è ora più che mai temibile. Se non si abbatte, non si limita almeno in qualche modo, addio civiltà latina, addio potenza nostra risorta pur ieri!… O Signore, dall’intimo dell’anima mia, t’invoco piangendo: perdona a questa povera Italia; salvaci, o Dio e Ti ringrazieremo in eterno.
19 novembre
La burocrazia è eterna. Ancora non ho il vagone libero per trasportare la mia roba a Milano. Conversavo oggi coll’amico, più che professore, M. Rosi. La sua conversazione m’innalza sempre mi fa bene. Ha ragione: l’onestà vera è anche sana e buona politica. Non bisogna mirare nella vita a piccoli fini esclusivi, ma aver visioni larghe, speranze supreme. Se un ideale scompare, allora è facile passare ad un altro più nobile, più vasto. Ma se siamo gretti è un martirio continuo; è un morire a ogni disillusione. Così nella vita privata come nella pubblica. Ed è anche vera la constatazione ch’io ho fatto e ch’egli ha approvato: si sta ripetendo, a quel che oggi appare, in Italia il guaio enorme del nostro primo risorgimento nazionale. Se allora noi non avessimo avuto aiuti stranieri, se fossimo sorti per forza nostra più tardi alla vita vi saremmo giunti molto meglio preparati, più gloriosamente. Cosi, par ora. Non era arrivato il momento dell’ultima lotta. La gioventù nuova appena da qualche anno s’andava formando spiritualmente, irrobustendo il proprio carattere. Ed è essa che cerca adesso salvare l’onore e si batte bene, presa com’è all’improvviso. Ma se l’ora fosse scoccata più tardi!… «Se sapesse – mi diceva, esclamando, Rosi – che razza di mascalzoni è stata quella che ha educato noi! Che briganti di preti spretati, di ex garibaldini scappati, di sciocchi materialisti!… Difficile era reagire. Pochi spiriti nobili lo tentarono. I più naufragarono nell’ignoranza e nello scetticismo bestiale. Non si pensò più. Si odiò quel che non si conosceva. Si divenne stenterelli in tutto». Vero, purtroppo. La generazione passata e quella che l’ha preceduta hanno colpe gravissime: hanno pasciuto di fango l’umanità assetata di ideali, di luce…. Ho conosciuto stasera Corradini e Coppola all’Idea nazionale. Sono stati gentilissimi con me e mi han riempito d’elogi per l’opera santa che vado compiendo e se la son presa col governo che più largamente non m’aiuta, il governo che pensa a “far economie”, diceva ironicamente Corradini. Sono scontenti del governo. E un po’ han ragione. Il governo comincia a mostrarsi debole.
20 novembre
Oggi ho visto donna Salandra, savia donna, e per mezzo suo il comm. Zammorano capo di gabinetto del Ministro.
22 novembre
Fanno impazzire. Oggi m’han detto finalmente che non possono dare il vagone gratis ma devo almeno pagare la metà e devo dirigere la roba al Comando militare. Non capisce nulla la nostra burocrazia. Il governo nostro non sa adeguatamente misurare l’importanza de’ valori morali fra i soldati, non sa far nulla per loro. Vedremo.
23 novembre
Gira e rigira oggi son arrivato sino al generale Tettoni. é stata una fortuna. L’ho trovato simpaticissimo, intelligente, svelto, giovane ancora d’animo. M’ha promesso tutto il suo appoggio, m’ha largito le sue lodi. Egli si curò già delle Biblioteche ai soldati quand’era generale d’artiglieria a Torino. M’ha fatto vedere una fotografia della sua prima biblioteca. Il Signore l’ha posto sulla mia via. Mi sarebbe proprio dispiaciuto pagare il trasporto. Per ben altre cose mi servono i denari raccolti, ben altri sono i bisogni de’ soldati nostri. Tornando a casa ho visto Manari sulla porta del Collegio Capranica. M’ha investito come mai. Dice che mi faccio della reclame ecc. Ho capito: comincia l’invidia lì pure, nel cenacolo castrense. Bene: me la merito per la mia cattiveria. Come può il Signore benedire l’opera mia, se non divento più semplice e puro? se non mi umilio di più? Mons. Tiberghien m’aveva oggi pregato d’andare a un’adunanza d’un Comitato per i libri ai soldati. Sono andato. Erano le 6½ pom. L’appuntamento all’accademia de’ Nobili Ecclesiastici. V’erano mons. Ciccone, Tiberghien, D. Festa. Ho parlato loro del mio lavoro. Ho detto se volevano collaborare con me, o aiutarmi in qualunque modo. Per lo meno ho augurato buona fortuna al loro lavoro: ho raccomandato di molto fare, perché molti sono i bisogni. Sono riuscito a nulla? Lo vedremo. Spero d’aver date loro almeno idee più chiare sul da farsi. Non è poco. Ché li ho trovati piccoli. Sì: sono della buona e brava gente in genere questi clericali nostri. Devoti, religiosi nelle loro pratiche di pietà, incapaci magari d’azioni cattive… ma come restan chiusi freddi paurosi di tutto!
26 novembre
Di nuovo: la guerra nobilita veramente una nazione, la rinnova? Ne dubito assai. Essa esalta i valori umani e nazionali già esistenti, non ne crea di nuovi, o solo di passeggeri: se quindi allato alla guerra e prima della guerra vi sono buoni semi, germi maturi, essi sviluppano rigogliosi; se no il paese come l’individuo seguita la vita abituale, più banalmente magari, più materialisticamente. Insegnino la Germania nella sua maravigliosa storia moderna e la Francia nelle sue convulsioni guerresche. E v’è un altro guaio, il più grave. La guerra porta via in genere i più buoni, i valori migliori, gl’idealisti puri della patria, che corrono entusiasticamente a battersi e morire per lei. I cattivi restano a casa, a spiare le occasioni per comandare di più, per più arricchirsi. E ci riescono. Sfido io: sono più soli. Strano mistero di vita e di morte. I Nazionalisti v’han capito poco. O forse v’han capito molto, perché troppi di essi stanno godendosela per le città italiane, nelle retrovie sicure e calde, lontano dalla mischia che uccide. Questa spedizione in Albania che tutti dicono si stia compiendo e che non si vede mai è un’incognita paurosa. Seguitano negli ambienti romani colti le critiche al governo, la svalutazione di Salandra. Lo scetticismo avvelena ogni opera patriottica. Siam dunque destinati alla morte? Deve proprio il dominio civile trasmigrare alla Germania?
28 novembre
Stasera ho conosciuto all’hôtel de la Paix la signorina Bernardy Amy venuta da Firenze e inviata a me dalla marchesa Adele Alfieri di Sostegno. Spero combinar con lei una vasta azione che da Ala s’irradii sino alle trincee verso Riva, e riscaldi di fede e di speranza i soldati d’Italia. La guerra sinora va uccidendo i migliori, gl’idealisti più puri e la povera sana gente del popolo. La borghesia grassa e guasta ha saputo nascondersi negli infiniti angiporti della viltà. Perché sia rinnovatrice davvero bisogna che la guerra duri e immoli all’avvenire tutte le grettezze passate; bisogna che la necessità spinga a calci sulle trincee sanguinose verso la morte i vigliacchi delle retrovie.
29 novembre
Gli anglo-francesi ne’ Balcani fanno quello che ognuno di mente non ottusa prevedeva: si ritirano alla svelta verso Salonicco. Intanto Denys Cochin torna infiorato da Atene, i ministri inglesi chiacchierano e, lo zar passa in rivista per l’ennesima volta i suoi soldati senz’armi. Le notizie che ancora oggi ho avute di Tripoli fanno tremare. In Albania pare che ci muoviamo, che ci siam mossi anzi, ché mi han detto d’un ufficiale ferito tornato sino a Roma. Speriamo e preghiamo.