CASTITA’
Era signore nell’animo. Disdegnava i minimi accenni di volgarità e di falsità, lindo che era e ordinato nel suo spirito, il quale sembrava incantevolmente trasparire da quella sua carne diafana, illuminandola tutta.
“E’ un angelo!” – disse di lui un condiscepolo diversissimo di temperamento e di vita. Tale appariva per la delicatezza estrema dei modi, il pudore virgineo dei pensieri, degli atti, delle parole, per la riservatezza dei sentimenti.
Mai una parola grossolana, mai un atteggiamento scomposto, mai un discorso sguaiato: gentili sempre le maniere, distinto il comportamento, fini le espressioni.
Era lieto, ma sempre composto; scherzoso, ma fine e discreto. Il discorso man mano si elevava nella regione dello spirito e diventava serio, dietro le visioni di bene; ed eri agganciato anche tu, e ti disponevi ad operare per il bene.
POVERTA’
Avendo scelto Dio come suo tutto, stimava piccolezza il resto. Fu attratto dalla povertà di Cristo.
Proponendosi di farsi copia viva di Lui, si studiò di vivere povero, per ripetere efficacemente agli uomini del suo tempo la parola di redenzione e di vita.
Ammirazione ebbe sempre per san Francesco.
Visse povero. Per le sue mani passarono miliardi, per sé non ebbe niente, non avrebbe mai chiesto niente. Agli inevitabili bisogni umani provvedeva alla meglio, personalmente, con le proprie mani, rifuggendo da tutto ciò che non fosse strettamente necessario.
La stanzetta aveva spoglia e disadorna, tenuta in affitto: lettiera di ferro, nessun quadro, tavolo senza manto, crocifisso, sedia, armadio. Nient’altro. Nessuna ricercatezza né comodità.
Tutto ciò che doveva servire alla sua persona amava pulitissimo e semplice.
La sua roba personale poteva essere contenuta in un tiretto.
Non volle mai per sé una casa arredata e accudita, una comunità che lo riguardasse, delle persone che lo servissero.
Veramente volle assaporare il distacco del Maestro divino che non aveva dove posare il capo.
Aveva ristretto fin le più elementari esigenze. Non chiedeva mai niente per sé, generosissimo che era con gli altri. Lui che realizzò costruzioni per miliardi di lire, non aveva mai denaro per sé. Delle monete ignorava persino il conio. Non accettava mai di portarne.
Bisognava usare industriosi accorgimenti per fargli accettare il dono di un abito nuovo.
La povertà ricercava in funzione del Regno di Dio, in vista di una libertà spirituale nell’ acquisizione di conoscenza e nell’ adempimento della volontà di Dio, mezzo potente di elevazione spirituale e di assimilazione al modello divino.
Intese dunque la povertà come liberazione completa, come distacco, al fine di rendersi libero da legami temporali per vincolarsi sempre più strettamente al servizio di Cristo nelle creature più povere.
“Noi dobbiamo esser pronti a lasciar tutto che può ostacolarci la via della perfezione: questo lo spirito di povertà che deve animarci“.
Lo premeva una sollecitudine a utilizzare tutto, raggranellare tutto per i poveri: “Fattici servi dei poveri noi dobbiamo sul serio stare attenti a guadagnare quanto più possiamo per i poveri e risparmiare per essi sino, direi, all’inverosimile“.
Dai suoi scritti traspare un innamoramento, un trasporto mistico, una ebbrezza della povertà abbracciata per seguire Cristo speditamente: “O la si sente questa divina bellezza della rinunzia a tutto, della povertà più completa, questa ebbrezza del nulla… o no, non si è fatti per la vita religiosa vera, come la vuole il Maestro, no no no “.
OBBEDIENZA
Di temperamento franco e schietto, grande fu sempre l’ossequio e la devozione del Nostro per la gerarchia e per l’autorità della e nella Chiesa, anche se non mancano nei suoi scritti espressioni taglienti e stigmatizzanti contro quanti ne invilivano la natura misterica, tesi solo al carrierismo. Sia negli anni dello studentato teologico, quando ferveva il sorgere e il confronto di idee teologiche rinnovatrici, sia nel prosieguo del suo ministero, quante volte fu amareggiato, se non addirittura scandalizzato, da personalità ecclesiastiche meschine e vili, retrograde e ancorate ad un sospetto conservatorismo, null’affatto animate dal bene per la Chiesa ma solo dalla difesa di personali privilegi. Verso questo scadimento della sacramentalità della Chiesa egli ebbe a reagire, per amore della verità, ma mai verso le persone che comunque l’incarnavano, considerando in esse comunque e sempre la mediazione del Cristo capo e pastore.
Mai perciò in lui si è registrato un atto di insubordinazione o di protesta mirante a scalfire la dignità della Chiesa e dei suoi rappresentanti, anche se meschini, leggendo magari in tante grettezze un segno della volontà divina tesa a purificare il suo cuore e a liberarlo dal mai completamente estinto egoismo.